La vita, era stata rovinata. Lo avevo capito.
Ma quello che mi aspettava, era molto peggio.
Quella notte non avevo dormito, il mio cervello era a oieno regime. Voleva cercare una soluzione. Una soluzione razionale, reale. Ma niente.
Mi alzai, anche se era presto. Feci colazione, fuori era ancora buio e fino a quando non accesi la televisione, il silenzio mi trapanò i timpani. Vecchi telefilm e telegiornale.
La lasciai parlare.
Anche all’esterno, sembrava tutto cambiato. Presi la bici, per andare al lavoro e anche la città, sembrava addormentata. Sembrava statico, immobile. Come se fosse una scenografia teatrale.
Dipinta su delle assi di legno. Legno scadente.
Raggiunsi il capannone, misi a posto il casino e mi rinchiusi nell’ufficio. Dovevo preparare il lavoro giornaliero.
Poi mi accorsi che sulla segreteria lampeggiava il numero 33.
Strano, non eravamo mai stati così richiesti. Soprattutto durante la notte, quando eravamo chiusi.
Schiacciai il tasto play e quello che seniti, mi fece venire i brividi.
Prima, I Carabinieri. Poi i miei genitori e degli avvocati.
Tutti molto agitati e perché poi? Perchè secondo loro… Ero morto.
Più tardi, quando arrivarono i ragazzi. Tutti non potevano credere hai loro occhi. Pensavano veramente che io fossi morto.
Secondo la versione ufficiale, ero stato sbalzato dalla mia bicicletta. Martedì sera, mentre stavo tornando a casa. Il "mio corpo" è stato trovato da dei netturbini, durante il loro turno. Era riverso a terra. Lo sbalzo mi aveva fatto finire in un fosso. Non ero conciato bene.
Le autorità si sono messe immediatamente al lavoro e hanno avvisato tutti.
Dovevo capirci qualcosa, era l’ennesimo tassello.
Frugai nelle tasche e presi il bigliettino da visita che mi aveva lasciato quell Carabiniere. Feci il numero.
Mi invitò alla centrale, per chiarire la vicenda. Sembrava più interdetto di me.
Anche se andai, non volevo parlare. Chi mi avrebbe creduto, era una storia assurda.
Ma anche questa, lo era.
Volevo solo vedere il corpo, il mio cadavere. Anche se era uno squallido scherzo.
Mi accompagnarono subito in obitorio. Quando entrai la patologa sbiancò e per poco non svenne.
Volevo uscirmene con una battuta, ma non mi sembrava il caso.
Il corpo era disteso su un tavolino di metallo. Era freddo.
La patologa (una signora sveglia di media altezza e con alti capelli cotonati) si avvicinò ed afferrò i lembi del lenzuolo bianco e nervosamente lo sollevò. Tutti guardammo il volto del cadavere e poi mi fissarono.
Da 23 anni che vedo la mia faccia riflessa in uno specchio e chiunque fosse, in vita, poteva essere il mio fratello gemello.
La cosa mi faceva un po’ senso, era come in quei racconti: sei morto, esci dal tuo corpo e rimani del tempo a fissarlo e ad osservare la gente attorno a te.
Mi avrebbe sconvolto, ma esteriormente rimasi di marmo.
Era come se stessi vedendo un film senza patos.
La patologa, poi, mi prelevò del sangue, dei capelli e della saliva: probabilmente volevano confrontarli.
Marco, il Carabinieri, sapeva che non potevo esserci io, dietro allo scherzo del corpo. (truffa o cos’altro?!)
Ma mi fece una domanda. Che mi colpì come una bastonata.
Chi inscenerebbe la tua morte? E chi ne trarrebbe vantaggio?